venerdì 26 giugno 2009

Diritto all'oblio in rete, atto II

Ritorno sull'argomento che avevo trattato in un post precedente a seguito della presentazione di un disegno di legge (n. 2455 dell'On. Lussana) in materia.
Punto Informatico pubblica un bellissimo commento a tale disegno a firma di Guido Scorza che mi trova pienamente concorde sul valutare negativamente il provvedimento, ma che lascia, a mio avviso, inalterato il punto focale e cioè che il problema esiste.
Mi par di capire che l'autore del commento non metta in discussione la necessità di fare qualcosa, ma il modo con cui questo qualcosa verrebbe implementato e, in questo, ritengo che chiunque abbia un po' di competenza in materia non possa che concordare con Scorza.

Non voglio ripetere i motivi per i quali ritengo necessario approfondire i risvolti del problema affinché si possa arrivare ad una soluzione e perché lo ritenga un problema (l'ho già fatto nel post precedente). Voglio però aggiungere qualche osservazione a ciò che ho trovato nei commenti sulla rete.

I contrari ad un intervento legislativo in materia si basano, generalmente, su tre assunti:
  • la necessità di oblio dovrebbe valere anche per i media tradizionali (giornali cartacei, radio, TV) e, quindi, se non è mai stato un problema non lo dovrebbe essere nemmeno ora che c'è la rete
  • è un problema sollevato per proteggere il politico di turno e limitare la libertà di espressione
  • la rete non è governabile per mezzo di provvedimenti presi da un singolo paese (e, di fatto, nemmeno da una maggioranza di paesi)
I primi due punti non li condivido, il terzo pone, invece, una barriera forte ad una eventuale soluzione.

Il fatto che la necessità dell'oblio debba valere anche per i media tradizionali è solo teorica. Ciò che rende informazione una notizia pubblicata è la sua rintracciabilità e la persistenza nella rintracciabilità stessa. Una notizia pubblicata sul giornale cartaceo di oggi (e non sulla versione on-line) è rintracciabile, appunto, oggi (per chi lo legge tutto), forse domani (per chi lo lascia in giro) e poi solo a chi fa ricerche in emeroteca (pochissimi).
Di fatto la notizia sul media tradizionale non ha memoria indicizzata e, quindi, la sua rintracciabilità decade secondo i tempi della labilità della memoria umana.
Se mi contatta qualcuno cerco il suo nome su Google ma non andrei mai in emeroteca a sfogliare i giornali o in archivio a risentire le registrazioni di tutte le trasmissioni radio/TV per vedere se parlano di costui. In pratica la notizia esiste ancora ma non essendo più rintracciabile con facilità, di fatto, è come se non esistesse. Una sorta di oblio automatico.

Per quanto riguarda la questione legata al fatto che il problema venga sollevato per difendere il politico di turno ritengo sia irrilevante. Il punto è che il problema c'è per tutti. Anzi, è molto più sentito dalla persona comune che non ha la possibilità di convocare una conferenza stampa per smentire una notizia falsa. Pensate al giovane che si trova chiuse le porte degli uffici del personale per colpa di notizie non vere o incomplete presenti in rete.

Veniamo ora al punto: cosa si può fare?

A mio avviso, putroppo, poco. Essenzialmente per il terzo punto (sovranazionalità della rete) ma anche per la estrema facilità di riproduzione di una informazione nell'ecosistema della rete. Questo è, di fatto, il maggior pregio di internet (la circolazione del sapere) e lo rimane anche considerando che, nella riproduzione, possa esserci una mutazione (il completamento o la correzione del sapere stesso). Il problema sorge quando avviene la riproduzione di un sapere falso o viene mutato un sapere corretto in uno errato: in questo caso il pregio diviene un difetto.
Intendiamoci, non è niente di nuovo: anche con i media tradizionali succede ma, per i motivi a cui ho già accennato e, in particolare, alla rintracciabilità, ritengo che sia rilevante solo nell'ambito della rete.

Tanto più lo strumento è potente, tanto più ne si amplificano i difetti intrinsechi così come, per fortuna, se ne amplificano i pregi. Il punto è trovare un equilibrio tra i due.

Tornando al parallelo con l'ecosistema, la mutazione e la genesi spontanea sono fondamentali per l'evoluzione dello stesso, così come la riproduzione lo è per la sua continuità. Purtroppo nulla impedisce che ciò possa portare alla creazione e riproduzione di un organismo in grado di distruggere l'ecosistema stesso.
La soluzione non è però inibire la mutazione o la genesi. Ciò condannerebbe l'ecosistema ad essere sempre uguale e quindi, non essendo in grado di reagire alle perturbazioni esterne, all'estinzione.
Restano, quindi, altre due possibiltà: pilotare la mutazione e controllare genesi e riproduzione.
Il punto è evitare che l'abuso di questi due strumenti (pilotaggio e controllo) non divenga inibizione. Nel caso dell'informazione questa si chiama censura o limitazione della libertà di espressione.

Ecco, ritengo che le linee da cui muovere possano essere queste: cerchiamo di limitare il sorgere del problema e, qualora si presenti, cerchiamo di limitare la sua propagazione. Senza avere la pretesa di evitare che sorga (non ci riusciremo mai) o che si propaghi (idem). Di fatto cerchiamo di riportarlo a livello di ciò che accade nei media tradizionali: la notizia falsa c'é sempre ma non è influente.

Un'ultima osservazione: non possiamo pensare che un compito di questo genere possa essere svolto dal mondo politico. Non ha competenza specifica e deve affidarsi, quando lo fa, a consulenti o consiglieri che, ovviamente, fanno il loro interesse di parte. Può essere che questo interesse vada nella direzione giusta come in quella sbagliata (è il nostro caso).
Allora chi lo può fare?
Lancio un'idea: perché non applicare alla realizzazione di una proposta di disegno di legge lo stesso modello utilizzato per lo sviluppo di un software open source?
Prendiamo un problema da regolamentare, come può essere quello in oggetto. Si apre un sito ad esso dedicato e si inizia a mettere giù una proposta di disegno di legge, con articoli e commi. Il popolo della rete partecipa secondo la sua competenza specifica con revisioni, debugging e proposte di modifiche. Il disegno di legge cresce e, ad un certo punto, arriva il rilascio della versione definitiva. A questo punto si prende l'onorevole di turno e gli si dice: "La soluzione al problema è in questo disegno di legge, già vagliato dalle persone competenti e filtrato dagli interessi di parte. Mettilo in bella e presentalo che fai bella figura."

Sogno?

mercoledì 17 giugno 2009

Quant'è bella la realtà

Si discute di luoghi virtuali (Second Life - a proposito, che fine ha fatto?), amicizie virtuali (Facebook), fringuelli virtuali (Tweeter), e chi più ne ha più ne metta.
A costo di sembrare retrogrado o ipocrita, visto che il blog appartiene a quell'ecositema, ribadisco che, a mio avviso, niente batte la realtà. Quella senza aggettivi: l'unica possibile. Quella che percepiamo con i nostri sensi e che, proprio per questo, è diversa per ognuno di noi. Un mondo di sensazioni che non ha eguali e che dovrebbe vedere la tecnologia come strumento in grado di estendere il raggio di azione dei nostri sensi e non la sostituzione dell'oggetto da essi percepito.
Posso trovare un amico con Facebook, ma poi lo devo frequentare dal vivo, non solo attraverso un filo. Devo sentirne l'odore, toccarne la consistenza (in tutti i sensi), osservarne i movimenti.

Volete mettere:
Ascoltare il trio che suonava la czarda sotto l'arco alla Petit Venice di Colmar dopo aver preso un'intera giornata di pioggia teutonica in moto (ad agosto).

Il gusto di un Morellino di Scansano "postato" sulla lingua e non nel blog.

Lo "spirito" (meglio se DOC) che accompagna una cena tra amici.

Mandare al diavolo qualcuno e poi farci una risata senza dover ricorrere agli emoticons.
Lo so, a volte sembra masochismo ma la realtà è da vivere anche quando non ci piace.

L'ho già scritto in precedenza: ci sono momenti in cui mi piace essere un lotek e apprezzare ciò che posso raggiungere con una mano o con il suono della mia voce.

P.S. prima che si scateni il putiferio, chiarisco che non metto in dubbio l'utilità degli strumenti in oggetto (l'importanza di Tweeter nel caso delle elezioni in Iran è li da vedere) ma solo che, a mio avviso, strumenti sono e tali dovrebbero rimanere.

martedì 9 giugno 2009

Cosa ti piace?

La mia risposta spesso sconcerta chi mi pone la domanda.
Ad esempio, se mi chiedono
Che musica ascolti?
la mia risposta è
Quella che mi piace.
Fin qui nulla di strano, visto che sarei un ben curioso soggetto se ascoltassi la musica che non mi piace.
La cosa si fa più complessa alla successiva domanda:
Si, ma che genere?
risposta
E' irrilevante.
A questo punto vengo considerato un orso un po' presuntuoso e cambiano discorso (o se ne vanno).
In realtà credo che sia estremamente limitante circoscrivere ciò che ci piace con steccati e recinti che sanno di censura preventiva: se una canzone o un quadro o un'opera d'arte mi piace è irrilevante il genere o stile a cui appartenga.
Se entro in un museo d'arte, lo vedo tutto. Non salto delle sale perché non mi piace, che so, il '700 o l'arte astratta. Ovviamente posso dire che un'opera non mi aggrada, ma dopo averla vista e non prima solo perché appartiene ad un genere che non mi piace.
Questo è il punto: è l'opera che ci deve piacere o non piacere.
Il fatto che il genere a cui appartenga non ci piaccia è solo una questione statistica basata su quante opere appartenenti ad esso ci siano gradite e quante no e non deve essere, a mio avviso, un vincolo.

Il mio iPod contiene, nei suoi 16GB, dalle opere di Verdi e Puccini ai Guns N' Roses e Whitesnake, da Fabrizio De André a Davide Van De Sfroos passando per gli ABBA, il blues di Otis Redding, la dance di Gloria Gaynor, Pavarotti e Alice Cooper, Dr. John e gli Aerosmith, Dave Brubeck e i Culture Club, Beethoven e Alannah Myles, Gershwin e Freddie Mercury, i musical di Webber e le Fiabe Sonore della Fabbri Editori (si, proprio quelle dei 45 giri "A mille ce n'è...").